18 feb. – CABRAS, Trovati a Sa Osa i semi di melone più antichi del mediterraneo

Non finiscono le sorprese nei pozzi, antichi più di tremila anni, scoperti a Cabras dalla Soprintendenza per i Beni archeologici per le province di Cagliari e Oristano. Il gruppo di archeobotanica del Centro conservazione biodiversità dell'Università di Cagliari, diretto da Gianluigi Bacchetta, ha pubblicato i risultati degli ultimi studi incentrati sui semi di vite rinvenuti nel loro interno, fornendo importanti indizi sull’origine della viticultura in Sardegna ed in Europa. Il contenuto del pozzo più ricco di reperti, il pozzo N, è stato accuratamente studiato sotto tutti i diversi aspetti botanici, grazie anche alla collaborazione coi migliori specialisti nazionali ed internazionali del settore, come il gruppo di ricerca in archeobiologia dell’Instituto de Historia di Madrid, l’Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree di Sesto Fiorentino, la Soprintendenza per i Beni archeologici della Toscana ed il laboratorio di palinologia e paleobotanica dell’Università La Sapienza di Roma.
Il ritrovamento di 47 semi di melone è il risultato di maggior rilievo, poiché fino ad oggi le prime evidenze relative alla coltivazione di questa specie erano relazionate solo al vicino e al medio Oriente. I semi di melone ritrovati all’interno del pozzo N di Sa Osa, riferibili all’età del Bronzo, sono stati datati tra il 1310 ed il 1120 a.C. e costituiscono attualmente la prima testimonianza certa della coltivazione del melone nel bacino del Mediterraneo. Prima d’oggi, la diffusione del melone nel Mediterraneo era stata attribuita a Greci e Romani in periodi molto più recenti. Si stanno ora svolgendo analisi genetiche e morfologiche per approfondirne la loro origine e natura con la collaborazione del gruppo di ricerca sulle cucurbitacee del’Instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidada Valenciana dell’Università Politecnica di Valencia.
Il contenuto di questi pozzi offre la possibilità di delineare un panorama ampio e variegato della gestione del territorio da parte delle popolazioni nuragiche che abitavano questi luoghi. Sono stati identificati centinaia di migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di piante coltivate e selvatiche, come olivo, mirto, mora, frumento, orzo, prugnolo selvatico, cicerchia, ginepro, lentisco e molte altre ancora. Il quadro generale che è emerso evidenzia che il popolo nuragico aveva un’economia di sussistenza altamente sviluppata e una profonda conoscenza della flora e vegetazione della Sardegna, su cui eseguivano un’attenta selezione delle materie prime.
(red) (admaioramedia.it)
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